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Pratica Forense

Tale pratica costituisce uno dei presupposti imprescindibili per l’accesso alla professione d’avvocato. Le norme che la disciplinano sono essenzialmente la l. 31 dicembre 2012 n. 247 (artt. 40-45) ed il decreto attuativo del Ministro della Giustizia 17 marzo 2016 n. 70.

Il tirocinio forense. 

In base al combinato disposto dell’art. 41 della L. n. 247/2012, rubricato “Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio” e dell’art. 3 del D.M. Giustizia n. 70/2016, il tirocinio forense consiste nell’addestramento teorico e pratico del praticante avvocato, della durata di diciotto mesi, finalizzato al conseguimento delle capacità necessarie per l’esercizio della professione e per la gestione di uno studio legale, nonché all’apprendimento dei principi etici e delle regole deontologiche. Detto tirocinio consiste altresì, nella frequenza obbligatoria e con profitto, sempre per un periodo non inferiore a diciotto mesi, di corsi di formazione di indirizzo professionale tenuti da ordini e associazioni forensi.

Doveri del praticante. 

Il praticante deve svolgere la pratica forense con assiduità, diligenza, riservatezza e nel rispetto delle norme di deontologia professionale. Egli infatti, è tenuto ad osservare gli stessi doveri e le stesse norme deontologiche degli avvocati ed è soggetto al potere disciplinare del Consiglio dell’ordine di appartenenza (art. 42 L. 247/2012). Per assiduità si intende la frequenza continua del praticante avvocato presso lo studio del professionista che dichiari la propria disponibilità ad accoglierlo. Tale requisito si ritiene onorato se il praticante è presente presso lo studio, o comunque opera sotto la diretta supervisione del professionista, per almeno venti ore settimanali. Per diligenza si intende la cura attenta e scrupolosa nello svolgimento del tirocinio. Per riservatezza, l’adozione di un comportamento corretto volto al mantenimento del massimo riserbo su tutte le notizie ed informazioni acquisite nel corso del tirocinio.

Corsi di formazione obbligatoria.

Contestualmente alla pratica legale, il tirocinante, ex art. 3 del DM Giustizia n. 70/2016 e dell’art. 43 della L. n. 247/2012, dovrà seguire obbligatoriamente e con profitto dei corsi di formazione per un periodo non inferiore a diciotto mesi organizzati dai Consigli dell’Ordine di appartenenza nonché da altri soggetti previsti per legge. A tal proposito in data 16 marzo 2018 è stato pubblicato il Decreto del Ministero della Giustizia n. 17/2018 che disciplina dettagliatamente le modalità di istruzione e frequenza e a cui si rimanda.

L’iscrizione nel registro dei praticanti.

Condizione per lo svolgimento della pratica forense è l’iscrizione del laureato o del laureando in giurisprudenza nel registro speciale dei praticanti. Recentemente infatti, è stata prevista la possibilità di anticipazione di un semestre di pratica durante gli studi universitari. Detto registro è tenuto presso il Consiglio dell’Ordine del circondario nel quale il richiedente intende stabilire il proprio domicilio professionale. Per procedere a tale iscrizione, è necessario però, che il praticante, in possesso di determinati requisiti, presenti apposita istanza al Consiglio dell’Ordine. Tali requisiti, individuati dall’art. 17 co. 1 lett. a), c), d), f), g), ed h) della L. n. 247/2012 sono: – essere cittadino italiano o di Stato appartenente all’Unione Europea, salvo quanto previsto dal comma 2 dello stesso articolo per gli stranieri cittadini di uno Stato 47 non appartenente all’Unione Europea; – avere il domicilio nel circondario del Tribunale ove ha sede il Consiglio dell’Ordine; – godere del pieno esercizio dei diritti civili; – non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive; – non avere riportato condanne per i reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e per quelli previsti dagli articoli 372, 373, 374, 374-bis, 377, 377-bis, 380 e 381 del codice penale; – essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense. L’istanza dovrà essere corredata dai documenti comprovanti il possesso di tutte le condizioni richieste e della dichiarazione di disponibilità dell’avvocato presso cui si intende svolgere tale tirocinio. Il Consiglio dell’Ordine, accertata la ricorrenza dei requisiti e delle condizioni prescritte, provvede all’iscrizione entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda. La deliberazione deve essere motivata ed è notificata all’interessato in copia integrale entro quindici giorni. Quest’ultimo può presentare, entro venti giorni dalla notificazione della deliberazione, ricorso al CNF. Qualora il Consiglio non abbia provveduto sulla domanda nel termine di trenta giorni, l’interessato potrà, entro dieci giorni dalla scadenza di tale termine, con ricorso al CNF agire contro tale inerzia. In tal caso, il CNF deciderà sul merito dell’iscrizione con provvedimento immediatamente esecutivo.

Anticipazione di un semestre di tirocinio durante gli studi universitari.

A partire dall’anno accademico 2017/2018 è possibile l’anticipazione di un semestre di tirocinio durante gli studi universitari e in particolare in costanza dell’ultimo anno di università. Ciò è stato possibile grazie alla Convenzione quadro siglata il 24 febbraio 2017, tra il Consiglio nazionale forense e la Conferenza dei direttori di Giurisprudenza e Scienze giuridiche, ai sensi dell’art. 40 L. n. 247/2012 e dell’art. 5 D.M. Giustizia n. 70/2016. Conseguentemente, i singoli Consigli degli Ordini territoriali hanno stipulato apposite convenzioni con le locali facoltà di Giurisprudenza. Con tali convenzioni sono state individuate le modalità di svolgimento del tirocinio al fine di assicurare una proficua ed effettiva frequenza presso lo studio legale prescelto – per almeno dodici ore settimanali – e la conclusione degli studi universitari. L’art. 6 del D.M. Giustizia n. 70/2016 individua i requisiti per poter essere ammessi a tale anticipazione. Essi sono: – essere in regola con lo svolgimento degli esami di profitto del corso di laurea in Giurisprudenza; – aver ottenuto il riconoscimento dei crediti nelle seguenti materie: diritto civile, diritto processuale civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto dell’Unione Europea. Pertanto, lo studente intenzionato ad anticipare un semestre di tirocinio potrà presentare apposita domanda d’iscrizione nel registro dei praticanti presso il Consiglio dell’ordine con la quale la propria università ha stipulato la convenzione e in cui è iscritto l’avvocato presso il quale intende svolgere la pratica. Una volta conseguito il diploma di laurea, egli dovrà provvedere, nei sessanta giorni successivi, a confermare l’iscrizione nell’apposito registro dei praticanti, pena la cancellazione dal registro stesso. In tale caso il periodo già compiuto rimarrà privo di effetti. Tali conseguenze sono previste altresì se il praticante-studente non consegua la laurea nei due anni successivi alla durata legale del corso.

Il libretto della pratica forense.

Al momento dell’iscrizione nel registro, al praticante verrà consegnato il ‘libretto della pratica forense’ che dovrà essere conservato e compilato con cura per tutta la durata del tirocinio. Esso è suddiviso in tre semestri e ciascun semestre ha tre sezioni: una per le udienze, una per gli atti processuali e le attività stragiudiziali ed una per le questioni giuridiche trattate. Con riferimento alle udienze, queste devono essere indicate in ordine cronologico in un numero pari a 20 per il primo semestre e 25 per gli altri. Per ogni udienza deve essere indicata la data di celebrazione, l’autorità giudiziaria, il numero di ruolo generale, le parti e l’attività sommaria svolta. Esse devono riguardare sia processi civili che processi penali, con un numero minimo di 5 per un genere e di 15 per l’altro.

Al riguardo, appare opportuno precisare che il CNF, con parere del 13 novembre 2017 n. 55, su richiesta del COA di Bologna (quesito n. 287), ha sottolineato “l’importanza che la formazione del praticante debba riguardare anche il procedimento di mediazione e in genere tutti i procedimenti di soluzione della lite alternativi alla giurisdizione”; e a tal fine ha ritenuto che “ben possano essere computati nel novero delle udienze cui il praticante deve assistere ai sensi dell’art. 8 co. 4 del DM 70/2016 anche incontri svolti davanti al mediatore, a condizione che in detti incontri la mediazione sia stata effettivamente svolta (ad esclusione quindi del primo incontro), ed a condizione che la sua presenza sia documentata. Analogamente può dirsi per quanto attiene alle altre ADR, che si svolgano avanti a un organo terzo, con esclusione quindi del procedimento di negoziazione assistita”. Per ciascun semestre devono essere indicati altresì, n. 10 atti processuali o attività stragiudiziali a cui il praticante ha partecipato dando un proprio apporto, individuando l’oggetto e il tipo di atto o di attività stragiudiziale.

Da ultimo, il praticante è tenuto ad annotare sinteticamente tre questioni giuridiche che nel corso del semestre di pratica professionale egli ha avuto modo di studiare ed approfondire. Al termine di ciascun semestre sarà necessario riconsegnare il libretto all’Ordine degli avvocati di appartenenza e il Consigliere delegato provvederà alla sua vidimazione. Al compimento dei diciotto mesi di pratica, il praticante, previa riconsegna di tale libretto, potrà richiedere al Consiglio dell’Ordine il rilascio del certificato di compiuta pratica, necessario ai fini dell’iscrizione all’esame di abilitazione alla professione.

Tirocinio contestuale a rapporto di lavoro. 

Compatibilmente con quanto disposto dall’art. 2 del D.M. Giustizia n. 70/2016, il tirocinio può essere svolto contestualmente all’attività di lavoro subordinato, sia pubblico che privato. Se ciò costituisce causa di incompatibilità per l’avvocato e per il praticante abilitato – di cui si dirà nel proseguo dello scritto –, non anche lo stesso accade per il praticante semplice. Quest’ultimo invero – sempre che non ricorrano ragioni specifiche di conflitto di interesse e che l’attività lavorativa si svolga in modo da poter consentire l’effettivo e puntuale svolgimento del tirocinio – deve informarne tempestivamente il Consiglio dell’Ordine indicando le modalità e i tempi del lavoro. Egli è tenuto a comunicare altresì, ogni notizia relativa a nuove attività lavorative e a eventuali mutamenti delle medesime.

Il Consiglio dell’Ordine, all’esito della verifica, qualora ne ricorrano i presupposti, con delibera motivata, dispone il diniego dell’iscrizione o, se il rapporto di lavoro è iniziato in corso di tirocinio, la cancellazione dal registro dei praticanti.

Durata e interruzione.

Il tirocinio deve essere svolto in forma continuativa per diciotto mesi. Tale periodo decorre dalla data di delibera con la quale il Consiglio dell’Ordine, secondo i termini e le modalità sopradescritte, si pronuncia positivamente sulla richiesta di iscrizione. La legge prevede, tuttavia, la possibilità che possa essere interrotto. L’interruzione per un periodo pari o superiore a sei mesi può essere giustificata dai seguenti motivi: problemi di salute; maternità, paternità o adozione; ricorrenze di sanzioni disciplinari interdittive inferte al proprio dominus o al praticante stesso; comprovata necessità di assicurare assistenza continuativa a prossimi congiunti o coniuge affetti da una malattia tale da renderli non autosufficienti. L’interruzione per un periodo inferiore a sei mesi ma superiore a un mese può invece, ricorrere in presenza di altri motivi di carattere personale. La domanda di interruzione deve essere presentata al consiglio dell’ordine presso il quale il praticante è iscritto allegando documentalmente le ragioni.

Sulla richiesta l’ordine decide con provvedimento motivato. Nel caso di accoglimento, il tirocinio è sospeso dalla data di presentazione dell’istanza. Cessata la causa di interruzione, previa immediata comunicazione al consiglio dell’ordine, il tirocinio riprende, senza soluzione di continuità, con l’anzianità della precedente iscrizione. La sua interruzione per oltre sei mesi, senza alcun giustificato motivo, anche di carattere personale, comporta invece la cancellazione dal registro dei praticanti, salva la facoltà di chiedere nuovamente l’iscrizione nel registro. Sulla cancellazione del registro dei praticanti si pronuncia il Consiglio dell’Ordine con delibera motiva- 49 ta, rispettata la procedura di cui ai commi 12,13 e 14 dell’articolo 17 L. 247/2019.

Doveri del “dominus”.

In primo luogo va chiarito che l’avvocato, cd. dominus, per poter ricevere un praticante, deve essere necessariamente iscritto all’albo degli avvocati da almeno cinque anni. Egli, per espressa previsione legislativa (art. 41 co. 10 L. 247/2012), ha il compito di assicurare che il tirocinio si svolga in modo proficuo e dignitoso per le finalità di cui alla parte introduttiva del presente scritto.

È bene precisare che la funzione di dominus non può essere assunta per più di tre praticanti contemporaneamente, salva l’autorizzazione rilasciata dal competente Consiglio dell’Ordine previa valutazione della propria attività professionale e dell’organizzazione del suo studio. Qualora invece si possa presumere che la mole di lavoro del proprio dominus non sia tale da permettere al singolo praticante una sufficiente offerta formativa, quest’ultimo potrà, previa richiesta e autorizzazione del Consiglio stesso, svolgere detto tirocinio presso due avvocati contemporaneamente. Ex art. 41 co. 11 L. 247/2012, il tirocinio professionale non determina il diritto del praticante all’insaturazione di un rapporto di lavoro subordinato, anche occasionale. Il legislatore ha previsto il diritto del praticante al rimborso delle spese sostenute per lo svolgimento del tirocinio e la possibilità che possa essergli riconosciuto con apposito contratto, decorso il primo semestre, un’indennità o un compenso per l’attività svolta per conto dello studio. Ovviamente, tale compenso, dovrà essere commisurato all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle proprie prestazioni e tenuto conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio.

L’abilitazione al patrocinio.

Le disposizioni normative che oggi regolamentano la pratica forense hanno radicalmente modificato la disciplina sull’abilitazione al patrocinio del praticante avvocato. Invero, prima della riforma forense, essa era contenuta all’interno dell’art. 8 co. 2 del R.D.L. n. 1578/1933 che statuiva quanto segue: “I praticanti procuratori, dopo un anno dalla iscrizione nel registro di cui al primo comma, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio davanti ai tribunali del distretto nel quale è compreso l’ordine circondariale che ha la tenuta del registro suddetto, limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della legge 16 luglio 1997, n. 254, rientravano nella competenza del pretore. Davanti ai medesimi tribunali e negli stessi limiti, in sede penale, essi possono essere nominati difensori d’ufficio (Corte cost. 17.3.2010 n. 106 ha escluso la nomina per i praticanti a difensori d’ufficio), esercitare le funzioni di pubblico ministero e proporre dichiarazione di impugnazione sia come difensori sia come rappresentanti del pubblico ministero”.

Pertanto, secondo la pregressa normativa, il praticante avvocato poteva, trascorso un anno dall’iscrizione nell’apposito registro e per un periodo non superiore a sei anni, essere abilitato all’esercizio della professione – seppur con i limiti di cui a breve si dirà. Nello specifico, egli poteva patrocinare in proprio ed essere inserito nel mandato di difesa (Peraltro non abilitato ad essere inserito nelle liste dei difensori d’ufficio. Orbene, oggi, la predetta riforma ha introdotto la figura del “patrocinio sostitutivo”.

In particolare, l’art. 41 co. 12 della L. n. 247/2012 così dispone: “Nel periodo di svolgimento del tirocinio il praticante avvocato, decorsi sei mesi dall’iscrizione nel registro dei praticanti, purché in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, può esercitare attività professionale in sostituzione dell’avvocatopresso il quale svolge la pratica e comunque sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo, in ambito civile di fronte al tribunale e al giudice di pace, e in ambito penale nei procedimenti di competenza del giudice di pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, rientravano nella competenza del pretore. L’abilitazione decorre dalla delibera di iscrizione nell’apposito registro.

Essa può durare al massimo cinque anni, salvo il caso di sospensione dall’esercizio professionale non determinata da giudizio disciplinare, alla condizione che permangano tutti i requisiti per l’iscrizione nel registro”. Appaiono pertanto chiare le differenze. Oltre alla riduzione dei tempi per poter conseguire detta abilitazione – decorsi sei mesi dall’iscrizione nell’apposito registro – e dei termini di durata della stessa – cinque anni dalla medesima iscrizione, non più sei –, il praticante abilitato non può più avere cause proprie né essere inserito in alcun mandato difensivo. Il suo ruolo è sostanzialmente quello di sostituto dell’avvocato presso cui svolge la pratica. Si segnala tuttavia, con non poche perplessità, che parte della dottrina ritiene che la vigente normativa non abbia espressamente abrogato l’art. 7 della L. n. 479/1999.

Sulla base di tale articolo, il praticante avvocato abilitato potrebbe esercitare attività professionale nelle cause di competenza del Giudice di Pace e dinanzi al Tribunale in composizione monocratica limitatamente: A) negli affari civili: – alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore ad euro 25.822,84; – alle cause per le azioni possessorie, salvo il disposto dell’articolo 704 del codice di procedura civile, e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’articolo 688, secondo comma, del codice di procedura civile; alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie; B) negli affari penali: – alle cause per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva; – alle cause per i seguenti reati: violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336, primo comma, del codice penale; resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 337 del codice penale; oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’articolo 343, secondo comma, del codice penale; violazione di sigilli aggravata a norma dell’articolo 349, secondo comma, del codice penale; favoreggiamento reale previsto dall’articolo 379 del codice penale; maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, quando non ricorre l’aggravante prevista dall’articolo 572, secondo comma, del codice penale; rissa aggravata a norma dell’articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; omicidio colposo previsto dall’articolo 589 del codice penale; violazione di domicilio aggravata a norma dell’articolo 614, quarto comma, del codice penale; furto aggravato a norma dell’articolo 625 del codice penale; truffa aggravata a norma dell’articolo 640, secondo comma, del codice penale; ricettazione prevista dall’articolo 648 del codice penale; C) lavoro e previdenza, procedure esecutive mobiliari: – nelle cause entro il limite di valore di euro 25.822,64. Infine, l’art. 9 del D.M. Giustizia n. 70/2016 disciplina praticamente la modalità di accesso a detta abilitazione. Il praticante in possesso dei requisiti sopradescritti potrà infatti, richiedere al Consiglio dell’Ordine di appartenenza l’autorizzazione ad esercitare tale attività. Quest’ultimo si pronuncerà entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda e provvederà alla relativa comunicazione all’interessato. Per poter esercitare la professione, il praticante avvocato dovrà prestare davanti al Consiglio dell’Ordine, riunito in pubblica seduta, l’impegno solenne di cui all’art. 8 L. 247/2012.

L’iscrizione facoltativa alla Cassa.

In ordine alla posizione previdenziale del praticante avvocato, occorre evidenziare la nuova disciplina di cui all’art. 5 del regolamento della cassa forense di attuazione dell’art. 21, commi 8 e 9, l. 247/12, norma la quale statuisce l’iscrizione facoltativa alla Cassa per tutti gli iscritti nel Registro dei praticanti avvocati che siano in possesso del Diploma di Laurea in Giurisprudenza. Essa avviene su domanda del praticante con delibera della Giunta Esecutiva. L’iscrizione potrà riguardare tutti gli anni del tirocinio professionale, a partire da quello del conseguimento del Diploma di Laurea, ad eccezione di quelli in cui il praticante abbia, per più di sei mesi, svolto il tirocinio contemporaneamente ad attività di lavoro subordinato. Dalla riportata norma consegue che i requisiti per l’iscrizione facoltativa alla cassa sono:

a) la laurea;

b) l’iscrizione nel registro dei praticanti.

Per l’iscrizione alla cassa è stata così superata la distinzione vigente nel periodo pre-riforma, tra praticante con e senza patrocinio. Occorre evidenziare altresì che, in caso di mancata opzione per l’iscrizione alla cassa forense, eventuali redditi percepiti vanno assoggettati alla contribuzione di cui alla gestione separata Inps: il praticante avvocato, essenzialmente, è libero di scegliere tra cassa forense e gestione separata Inps. Ai sensi dell’art. 3 del citato Regolamento, gli iscritti agli Albi, al momento dell’iscrizione alla Cassa ed entro 6 mesi, possono fare domanda di retrodatazione per gli anni di praticantato (per un massimo di 5 anni). Gli interessati, a pena di decadenza dal diritto, dovranno procedere al pagamento in un’unica soluzione, ovvero rateizzati in tre anni, di tutti i contributi dovuti per gli anni oggetto di iscrizione, fermo restando le importanti agevolazione previste al riguardo. 

In particolare, l’art. 7 del Regolamento di attuazione dell’art. 21 commi 8 e 9 della L. 247/2012 di cui sopra, prevede per i praticanti iscritti alla cassa (e per gli avvocati) con decorrenza antecedente al compimento del 35° anno di età, il beneficio della riduzione del 50% del contributo soggettivo minimo, per i primi sei anni d’iscrizione alla cassa, ivi compresi quelli richiesti, ai sensi dell’art. 3 del medesimo Regolamento, a titolo di iscrizione retroattiva. Tale beneficio è concesso a tutti i giovani neo iscritti alla Cassa indipendentemente dal reddito percepito e dichiarato.

Quanto al contributo minimo integrativo, questo non sarà invece dovuto per il periodo di praticantato nonché per i primi anni di iscrizione alla Cassa. Per concludere, giova fare chiarezza sulla problematica della legittimità o meno dell’iscrizione alla cassa forense per il periodo di praticantato con abilitazione al patrocinio oltre la durata legale del periodo massimo di patrocinio prevista dalla legge. Tale questione è stata risolta dalla Suprema Corte, sez. Lavoro, con la sentenza n. 28405 del 28.11.2017. Con essa è stato statuito quanto segue: “Con il decorso del periodo massimo di praticantato con abilitazione cessa automaticamente il diritto del praticante avvocato al mantenimento dell’iscrizione alla Cassa forense”. Ne consegue l’illegittimità dell’iscrizione alla cassa forense del periodo di illegittima iscrizione nel registro dei praticanti con abilitazione al patrocinio per superamento del periodo massimo fissato dalla legge. Peraltro, è irrilevante il mancato o tardivo esercizio del potere del consiglio dell’ordine di non revocare con apposita delibera il patrocinio alla scadenza del periodo fissato dalla legge. E ciò in quanto l’abilitazione del praticante al patrocinio, ai fini previdenziali, viene a cessare al raggiungimento del termine massimo di durata previsto dalla legge.

Forme “alternative” di svolgimento della pratica forense.

L’art. 40 co. 5 della L. 247/2012 prevede altresì delle forme alternative per il suo svolgimento con valenza sostitutiva per massimo dodici mesi. Invero, il tirocinio può altresì, essere svolto:

– presso l’Avvocatura dello Stato;

– presso l’ufficio legale di un ente pubblico;

– presso un ufficio giudiziario (disciplinato dal Decreto del Ministero della Giustizia n. 58/2016);

– presso studi legali di un altro Paese dell’Unione Europea, con titolo equivalente a quello di avvocato, abilitati all’esercizio della professione, per non più di sei mesi (art. 6 D.M. Giustizia n. 70/2016);

– attraverso la frequenza di una scuola di formazione per l’accesso alle professioni legali (SSPL) della durata di due anni. In ogni caso il tirocinio deve essere svolto per almeno sei mesi presso un avvocato iscritto all’ordine o presso l’Avvocatura dello Stato.

Durata del patrocinio.

Avviandoci verso la conclusione, si ritiene opportuno porre l’attenzione su una questione molto dibattuta: posta la durata del tirocinio di 18 mesi, per quanto tempo si può essere praticanti? Il CNF, con parere n. 66/2017, ha risposto ai seguenti quesiti del COA di Pescara: «se, alla luce dell’art. 17, comma 10, lett. b) l. n. 247/2012, debba ritenersi che, trascorso il periodo di 5 anni e 6 mesi, equivalenti, i 6 mesi, all’arco temporale minimo che deve decorrere dal momento dell’iscrizione nel registro dei praticanti per chiedere l’abilitazione all’esercizio del patrocinio sostitutivo ed i 5 anni al periodo massimo di esercizio del patrocinio anzidetto, venga meno il diritto del praticante a mantenere l’iscrizione nel relativo registro; se, decorso il suddetto periodo di 5 anni e 6 mesi, il COA debba procedere d’ufficio all’apertura del procedimento di cancellazione del praticante» ed infine «come possano conciliarsi “i due diversi termini stabiliti nell’art. 17, comma 10, lett. b) l. n. 247/2012, l’uno di anni 6 dall’inizio, per la prima volta, della pratica, per il rilascio del certificato di compiuta pratica, l’altro di 5 anni e 6 mesi, come sopra dedotto, relativo al diritto di conservare l’iscrizione nel registro dei praticanti».

Con tale parere si ribadisce che, ai sensi dell’art. 41, comma 12 l. n. 247/1012, il praticante, decorsi 6 mesi dall’iscrizione nel relativo registro possa esercitare l’attività professionale in sostituzione dell’avvocato presso cui svolge la pratica e che l’esercizio di detta facoltà risulta subordinato al rilascio dell’autorizzazione da parte del Consiglio dell’Ordine che ha ricevuto la richiesta. Inoltre, l’art. 17, comma 10, lett. b) stabilisce che la cancellazione dal registro dei praticanti, nonché dall’elenco dei praticanti abilitati al patrocinio sostitutivo è deliberata “dopo il rilascio del certificato di compiuta pratica, che non può essere richiesto trascorsi 6 anni dall’inizio, per la prima volta, della pratica. L’iscrizione può tuttavia permanere per tutto il tempo per cui è stata chiesta o poteva essere chiesta l’abilitazione al patrocinio sostitutivo”. Al comma successivo poi, viene prescritta l’automaticità degli effetti della cancellazione dal registro in seguito “alla scadenza del termine per l’abilitazione al patrocinio sostitutivo”.

Ciò premesso, il CNF in risposta al citato quesito, afferma che “la durata massima del praticantato è di 6 anni”. E aggiunge: “Non potendosi richiedere il rilascio del certificato di compiuta pratica decorso tale arco temporale, la pratica stessa (e, quindi, l’iscrizione del laureato in giurisprudenza al relativo registro) sarebbe priva di scopo alcuno. La richiesta di essere abilitato al patrocinio sostitutivo va formulata decorsi 6 mesi dall’iscrizione nel registro dei praticanti e non oltre la scadenza dei 6 anni decorrenti dalla suddetta iscrizione”. Continua poi il CNF: “l’iscrizione nel registro dei praticanti avrà efficacia per tutto il periodo di praticantato sostitutivo, avente la durata massima di 5 anni ai sensi dell’art. 41, comma 12, ma non oltre la succitata scadenza di 6 anni dall’iscrizione nel registro praticanti. Al termine, il Consiglio procederà perciò automaticamente alla cancellazione, pur nel rispetto della procedura prevista dall’art. 17, commi 12, 13 e 14. Ove, infine, alla scadenza del periodo di patrocinio sostitutivo, non fosse ancora decorso il 6° anno dall’iscrizione del praticante nel relativo registro, il Consiglio dell’Ordine dovrà comunque avviare, sempre nel rispetto della procedura anzidetta, l’iter della cancellazione automatica”.

L’esame di Stato. 

Concluso il periodo di tirocinio secondo le regole appena esposte, il praticante potrà sostenere l’esame di Stato. Il suo superamento consentirà di ottenere l’abilitazione per l’esercizio della professione forense. Il Titolo V, capo II della legge professionale n. 247/2012 – cui si rimanda – rubricato “Esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato” agli artt. 46 -49, disciplina, per l’appunto, le modalità di svolgimento dell’esame.

Fonte: Cassaforense.it

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Written by Lucrezia Pulcini

Tirocinio ex art. 73 (tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari)

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