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Sequestri e reddito di cittadinanza

L’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici non osta alla concessione del reddito di cittadinanza.

Autore: Avv. Francesco Martin, Ordine degli Avvocati di Venezia

La vicenda in esame riguardava due soggetti, indagati per i reati previsti dall’art. 640-bis c.p.  dall’art. 28, commi 2 e 3, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito nella L. 28 marzo 2019, n. 26, che al fine di ottenere il cosiddetto reddito di cittadinanza, avevano omesso di comunicare che con sentenze definitive erano state loro applicate le pene accessorie, rispettivamente, della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.

Nel ricorso si evidenziava che il reddito di cittadinanza costituisce prestazione assistenziale finalizzata a soddisfare le esigenze di vita e, pertanto, non può essere equiparato allo stipendio, pensione o assegno, ossia alle prestazioni revocabili in seguito ad applicazione della pena accessoria, così come evidenziato anche dal Ministero del Lavoro, interpellato sul punto dall’I.N.P.S.-

La Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. II, 12.10.2022, n. 38383), pronunciandosi sul ricorso presentato dal difensore degli indagati nei confronti dell’ordinanza emessa dal Tribunale, la quale aveva confermato il decreto del Giudice delle Indagini preliminari, ha affermato che: “La natura afflittiva delle pene accessorie impone una interpretazione letterale delle relative norme, nel rispetto del principio di tassatività delle sanzioni penali, cosicché già risulta dubbio che il beneficio economico di cui si tratta sia ricompreso nella nozione di “assegni”, considerato che esso viene erogato attraverso la “Carta Rdc” (L. n. 26 del 2019, art. 5, comma 6), caratterizzata dalla prevalente finalità di soddisfazione di bisogni primari mediante la copertura delle spese di acquisto.

Il reddito di cittadinanza, inoltre, ha natura e funzione ibride, come si evince dallo stesso incipit della legge (art. 1, comma 1), là dove viene definito quale “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”.

La Suprema corte ha evidenziato che, nel caso del reddito di cittadinanza ed in particolare con l’art. 2, comma 1, lett.C-bis), L. 26/2019, il legislatore ha di fatto derogato alla previsione generale dell’art. 28, comma 2, c.p., là dove stabilisce che l’interdizione perpetua dai pubblici uffici priva il condannato di una serie di diritti, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto.

La Corte di cassazione quindi, ritenendo insussistente il fumus commissi delicti del reato che aveva comportato il vincolo cautelare, ha annullato il provvedimento impugnato ed il decreto di sequestro limitatamente alla posizione di uno degli indagati e dichiarato inammissibile il ricorso dell’altro, condannandolo al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Nota: Di ogni violazione di copyright et similia risponde unicamente l’autore del presente articolo, indicato in epigrafe.

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Written by Roberta Rossi

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