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Il discrimine tra il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all’art. 572 c.p. e il reato di atti persecutori aggravato dall’esistenza, presente o passata, di una relazione affettiva che lega l’autore con la persona offesa, ai sensi dell’art. 612-bis, comma 2, c.p. è da individuarsi sulla presenza o meno dell’effettiva autonomia della persona offesa.

Autore: Avv. Francesco Martin, Foro di Venezia.

Nell’esaminare la vicenda, la Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. VI, 03.03.2023, n. 9187) effettua un’importante distinzione circa i due reati[1].

Richiamando i propri precedenti, la Corte afferma che la definizione di convivenza giuridicamente rilevante ai sensi dell’art. 572 c.p. è quella che proietta il rapporto, cioè la volontà di coppia, in una dimensione di impegno e di progetto di vita, al di là che poi in concreto la stabilità si realizzi.

Dalla nozione delineata discende che la convivenza non può essere esclusa quando sia sospesa o segnata da intervalli purché, però, restino intatti gli altri aspetti materiali e spirituali della comunione di vita e della volontà di condivisione.

La condotta costitutiva del reato di maltrattamenti appare indirizzata non genericamente contro una persona con cui si vive, ma contro chi ha una consuetudine di vita in comune con l’agente in una relazione intima che, attraverso condotte maltrattanti, genera un rapporto gerarchico e non paritario.

Conseguentemente la convivenza si distingue dalla mera coabitazione che può mancare per ragioni economiche, per condizioni oggettive o per scelte individuali.

Al contrario, la coabitazione o la convivenza meramente anagrafica possono esistere in assenza di convivenza affettiva duratura quando dipendono da esigenze di mera opportunità, di cura, di amicizia o utilità economica.

Successivamente la Suprema corte si sofferma anche sul reato di cui all’art. 612-bis c.p. e la sua distinzione con quello di cui all’art. 572 c.p.; tale distinguo, prima della L. 15 ottobre 2013, n. 119, era chiara perché si basava sull’attualità o meno del vincolo di coniugio o affettivo.

Si configurava infatti l’art. 572 c.p. per le condotte consumate con relazione in atto, mentre l’art. 612-bis, comma 2, c.p. riguardava le condotte consumate dopo la cessazione del vincolo o a conclusione della convivenza. Giova specificare che per relazione affettiva ai sensi dell’art. 612-bis, comma 2, c.p. deve intendersi un legame sentimentale derivante da un rapporto di reciproco affidamento che facilita il delitto, in quanto l’autore sfrutta la fiducia che la vittima ripone in lui e ne approfitta per accedere violentemente o abusivamente nella sua sfera più intima.

Tuttavia la modifica normativa che ha riguardato l’art. 612-bis, comma 2, c.p. prevede che ogni rapporto, sia che venga formalizzato o meno dal coniugio, sia che risulti cessato o attuale, meriti un aumento sanzionatorio per la grave insidiosità delle condotte e la maggiore pericolosità dell’autore.

La distinzione tra i due reati appare netta quando i fatti illeciti sono commessi dopo la chiusura del vincolo, con conseguente applicazione della sola forma aggravata di cui all’art. 612-bis, comma 2, c.p.; in questa ipotesi, infatti, non è più in atto la convivenza.

Il problema si pone quando, invece, le condotte nocumentali iniziano durante la fase della convivenza e proseguono anche dopo la cessazione della stessa e sono commesse dal coniuge separato o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, in quanto il delitto potrebbe essere punito sia dall’art. 612-bis, comma 2, c.p., sia dall’art. 572 c.p.-

La Corte ritiene che quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, siano commesse ai danni del coniuge separato si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio o con l’unione civile la persona resta comunque familiare, presupposto applicativo dell’art. 572 c.p.; con riguardo, invece, ai casi in cui il fatto sia commesso da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, per distinguere se si configuri il reato di cui all’art. 572 c.p. o del 612-bis, comma 2, c.p. occorre analizzare due elementi.

Il primo concerne l’esistenza di una effettiva convivenza (572 c.p.) e non solo di una relazione affettiva (612-bis c.p.) ed il secondo l’effettiva interruzione della convivenza (612-bis c.p.);

Nei casi di cessazione della convivenza è quindi necessario verificare se tra l’autore del reato e la persona offesa non vi sia più quella consuetudine di vita che connotava il precedente rapporto.

Si tratta in sostanza di stabilire se la cessazione della convivenza sia davvero avvenuta o, al contrario, permangano le medesime condizioni controllanti su cui questa si fondava, con tutti i meccanismi, oggettivi e soggettivi, che la connotavano, tanto da rendere meramente astratta la decisione di interromperla.

È, dunque, necessario verificare se la persona offesa abbia effettivi spazi di autonomia, materiale e psicologica, rispetto al maltrattante nel qual caso ricorre la cessazione della convivenza e, dunque, si applica la fattispecie di cui all’art. 612-bis, comma 2, c.p. oppure continui ad esserne totalmente privata, come avveniva nel corso della convivenza, a tal punto da rendere le violenze senza soluzione di continuità, nel qual caso si applica la fattispecie di cui all’art. 572 c.p.-


[1] V. Mazzucco, La distinzione tra maltrattamenti e atti persecutori aggravati dall’esistenza, presente o pregressa, di una relazione affettiva, in Diritto e Giustizia, 06.03.2023.

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Written by Roberta Rossi

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