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Inammissibile l’impugnazione inviata dal Pubblico Ministero a mezzo PEC non sottoscritta digitalmente.

Così decide la Sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 24714 del 24 giugno 2021.

L’emergenza sanitaria in cui versa il mondo intero a seguito della diffusione del virus SARS-CoV-2/Covid-19 ha influito enormemente anche sulle procedure di giustizia. Sono stati, in meno di un anno, introdotte molteplici norme in virtù delle quali il digitale ha preso il sopravvento anche nel processo penale, aprendo ad una serie di possibilità e problematiche non esenti da dubbi e contestazioni come, per esempio, la possibilità di «collegamenti da remoto» di atti d’indagine o il possibile svolgimento a porte chiuse dell’udienza dibattimentale, ex art. 472, comma 3, c.p.p. 

Tuttavia, sono state introdotte anche delle comode semplificazioni, come la possibilità per le parti private di depositare qualsiasi tipo di atto, anche di tipo cautelare, semplicemente apponendo la firma digitale e trasmettendo via PEC.

La Suprema Corte, tuttavia, nella motivazione della sentenza n. 24714/2021, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione inviata dal pubblico ministero a mezzo PEC, in quanto l’art. 24 del d.l. n.137 del 2020, come modificato dalla legge di conversione n. 176 del 2020, consente tale modalità di deposito alle sole parti private, cui testualmente si riferisce la norma in esame, richiedendo anche che l’atto sia sottoscritto con firma digitale, strumento di cui attualmente non dispongono gli uffici di Procura.

1. Il fatto

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Varese impugnava, in data 16 febbraio 2021, un’ordinanza con cui il giudice adito rigettava la misura cautelare personale chiesta dalla stessa e, a seguito di ciò, impugnava altresì la dichiarazione di inammissibilità della stessa circa l’appello ex art. 310 cod. pen. proposto. Il ricorso in appello veniva materialmente depositato presso la cancelleria del Tribunale del riesame oltre l’orario di chiusura della stessa dell’ultimo giorno utile, nonché depositata altresì tramite posta elettronica certificata all’indirizzo dell’organo giudicante nello stesso frangente temporale.

Tale ultimo aspetto avrebbe senza ombra di dubbio reso l’appello proposto dalla Procura tempestivo ai sensi del disposto ex art. 24 del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020, il cui disposto legittima la possibilità anche per la parte pubblica di depositare telematicamente le impugnazioni. 

Il deposito telematico, infatti, è da ritenersi consentito entro la fine del giorno di scadenza del termine per impugnare, in deroga a quanto disciplinato dall’art. 172, sesto comma, cod. proc. Pen.

2. La decisione della Corte di Cassazione

Come già anticipato, la Sesta sezione del Supremo Collegio ha deciso per la non meritevolezza del ricorso. 

In occasioni precedenti a quella qui in parola, la Corte già si era espressa nel non ritenere più attuale la lettura interpretativa (Sez. 1, n. 32566 del 03/11/2020, Caprioli, Rv. 279737), escludendo la possibilità di consentire, in alternativa, il deposito telematico delle impugnazioni, atteso che il comma 4 del citato art. 24 c.p.p. non conteneva deroghe concernenti le regole tecniche per il processo penale telematico.

È pacifico che, in tema di impugnazioni, la Corte di Cassazione sia protesa a modalità di presentazione e di spedizione dell’atto tassative e inderogabili come disciplinate dall’art. 583 cod. proc. Pen., non ammettendo, perciò, soluzioni equipollenti.

Infatti, l’art. 24 citato ben precisa come l’oggetto di tale disciplina siano solamente i difensori delle parti private, gli unici soggetti legittimati ad avvalersi della possibilità alternativa di deposito a mezzo PEC.

Il dato letterale della disposizione invocata dalla Procura di Varese, a parere della Sesta Sezione della Corte, a più riprese si riferisce agli esercenti la professione forense, sottolineandone altresì le modalità di invio del ricorso e dei motivi nuovi, la sottoscrizione digitale dei documenti quali conformi all’originale, senza però escludere a priori la parte della Pubblica accusa.

L’elemento di distinzione e dal quale discende l’applicabilità e la ammissibilità del ricorso promosso dalla Procura a mezzo PEC trova la sua centralità nel potere di certificazione digitale facente capo ai difensori delle parti private. Infatti, osserva la Corte, benchè pacifico che l’impugnazione oggetto di disamina sia stata trasmessa dalla casella di posta certificata assegnata all’ufficio del ricorrente, il ricorso in parola non risultava, tuttavia, digitalmente sottoscritto secondo le modalità tecniche imposte dal decreto direttoriale. Questo intoppo è stato concretizzato anche dalla circostanza che, come ammetteva parte ricorrente medesima, la stessa parte pubblica non possa vantare strumentazione tecnica che allo stato consenta di ovviare a siffatto incombente, previsto dalla normativa di riferimento a pena di inammissibilità.

La firma digitale, pertanto, al pari della sottoscrizione del documento cartaceo, consente di riferire l’impugnazione all’autore della stessa. Assume, ribadisce la Corte, un rilievo essenziale nell’intero complesso di norme che legittimano il deposito di impugnazioni in vie alternative.

L’assenza della firma digitale apposta all’atto, pertanto, lo rende comunque inammissibile, a nulla rilevando l’assoluta certezza della provenienza dello stesso, come affermato anche dalla Sez. 1, n. 12007, 20 gennaio 2021, Koburova, unico precedente in tal senso.

Dall’impossibilità di autocertificare digitalmente la provenienza delle proprie impugnazioni facente capo alla Procura, quindi, discende anche una stretta interpretazione della volontà legislativa: conscio di questa mancanza, lo stesso Legislatore ha, giustamente, previsto la possibilità di deposito a mezzo PEC per le sole parti private.

3. L’inopportunità dell’incidente di legittimità costituzionale.

Il ricorrente sollevava dubbi di costituzionalità riferiti agli artt. 3, 32 e 111 Cost.

Il Supremo Collegio, nonostante riscontrasse l’asimmetria determinata dalle previsioni soggette alla sua attenzione, sottolineava la limitatezza temporale che definisce l’ambito di operatività della disposizione richiamata, circoscritta al solo periodo di emergenza sanitaria. Inoltre, osservava ancora la Corte, la asserita preclusione di eguali poteri di impugnazione in capo alle parti si risolve in un più agevole esercizio dell’incombente per i difensori, potendo la Procura ovviare a questa situazione attraverso la proposizione di impugnazione a mezzo raccomandata, come dettato dall’art. 583, secondo comma, cod. proc. Pen.

Mancando la sottoscrizione digitale dell’atto proposto, la questione di legittimità sarebbe in ogni caso irrilevante, poiché non idonea ad influire sul giudizio principale.

Roberta Rossi

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Written by Lucrezia Pulcini

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